Proviamo a immaginare una spiaggia, una
spiaggia lunga con la vegetazione fitta da una parte e,
dall’altra parte, il mare con tutta la sua ricchezza e tutti i
suoi pericoli. Proviamo a immaginare i profumi e il rumore
delle onde che si infrangono sulla battigia.
La spiaggia è un posto molto speciale; è un microclima
che riveste grande importanza dal punto di vista naturalistico,
ma è un posto ancora più degno di attenzione dal punto
di vista psicologico. Qui su questa nostra spiaggia immaginale,
possiamo scorgere, da una parte, la terra ferma, la solidità
con tutto ciò che metaforicamente questa implica: la
razionalità, la logica, la coerenza, la quotidianità dell’Io, la
concretezza e tutte quelle categorie che noi usiamo e di cui
abbiamo bisogno per leggere e percepire la realtà che ci circonda.
Dall’altra parte troviamo il mare: la fluidità, la liquidità
totale, la fantasia, l’irrazionale, la necessità di abbandonare
il solito atteggiamento dell’Io e di lasciarsi andare.
Assieme al piacere di una tale esperienza, c’è naturalmente
anche il rischio di rimanere in balia delle correnti e di essere
portati via dalle onde.
La spiaggia che si trova in mezzo tra la solidità e la fluidità
partecipa alla vita di queste due sponde, quella solida e
quella liquida, senza essere né l’una né l’altra. È ovviamente
un posto solido come è solida la sabbia. Ma si tratta di un
solido che spesso si comporta come un liquido. I piedi
affondano nella sabbia se proviamo a camminarci sopra con
lo stesso piglio, la stessa determinazione che usiamo quando
camminiamo sull’asfalto, per esempio. E quante chiavi e
quante monete e quanti oggetti abbiamo perso sulla spiaggia,
nella sabbia che inghiottisce come il mare. È una solidità
non proprio solida, una solidità sui generis. È propria
quella solidità speciale e psicologica che nasce e cresce
nella coscienza quando questa è a contatto in modo consapevole
e fiducioso con l’inconscio.
Dove finisce esattamente la spiaggia e dove comincia il
mare? Basterebbe che arrivasse un’onda anomala per spostare
la linea di demarcazione, come basterebbe una semplice
raffica di vento per alzare un po’ di sabbia e spostare
all’indietro quel punto di passaggio dalla spiaggia alla terra
ferma.
La spiaggia è un vero «regno di mezzo», paragonabile a
un atteggiamento psicologico fluido, ma che non abbandona
totalmente il legame con la concretezza. È il regno di
mezzo perché il liquido e il solido si incontrano qui e si
compenetrano; la logica da una parte e la fantasia dall’altra
trovano insieme un modus vivendi nell’immaginazione
creativa e nella vita simbolica che da essa emerge.
La spiaggia può essere l’angolazione migliore per riflettere
Su ciò che per molti versi
fa paura: le nostre visioni, i nostri sogni insistenti,
alcune emozioni incandescenti, le parole che rimangono inespresse
ed inesprimibili, fino alle grandi delusioni.
Allo stesso tempo, o ad un certo tempo, cominciamo ad avvertire
la necessità di scoprire, trovare,
creare, elaborare per se stesso l’equivalente di una spiaggia,
un modo per incontrare i demoni e gli angeli che emergevano
da quel mare. Un modo per fare un passo verso queste
presenze e poter interagire con loro.
Questo tempo, quest’attimo esatto di consapevolezza, ci intima
di non potersi arroccare sulla terra ferma, limitandosi
a interpretare questi elementi emergenti con il
distacco o con l’arroganza di chi pensa di sapere tutto perché
ha la scienza dalla sua parte.
Questi elementi, quelle presenze esigono
di più.
Meritano un’accoglienza attenta e prudente,
ma un’accoglienza che vada al di là del solito atteggiamento
rappresentativo..Mater Vitae è vcina al mare,
ha affrontato le onde e ha corso i suoi rischi; facendo questo
trovando una nuova base, un nuovo asse portante
del proprio destini. E allo stesso tempo ha aperto per tutti
noi una nuova prospettiva nel modo di relazionarsi
con ciò che vive e si fa sentire dentro di noi.
Mater vitae ci ha portati sulla spiaggia, nello spazio simbolico dell’immaginazione
Creativa, appunto per non dimenticare che
l’immaginazione creativa è l’unico fenomeno primordiale
al quale noi abbiamo accesso.
(Francesca Cannavò)